Emozioni e nostalgia nel Café Society di Woody

Bonjour mes femmes!
Lo so: il film è nelle sale già da un paio di settimane e forse queste righe dovevano uscire prima, ma per vari impegni sono riuscita a vederlo solo domenica scorsa.
Sto parlando di Café Society, l’ultimo film di Woody Allen (da vera aficionada non potevo certo perderlo!)
Partiamo dalla trama, in fondo semplice e lineare: siamo nella New York degli anni Trenta, precisamente nel Bronx, dove vive il protagonista Bobby Dorfman (ennesimo alter ego del regista, qui interpretato da Jesse Eisenberg), commesso nella vecchia gioielleria di famiglia che per sfuggire ai postumi della grande crisi del ’29 decide di lasciare la bottega del padre e di raggiungere la California, dove suo zio gestisce un’agenzia artistica che cura i contratti di molti attori hollywoodiani.
Un po’ contrariato dall’intrusione inaspettata, il parente gli offre comunque un impiego come fattorino e Bobby si trova così coinvolto nell’ambiente luccicante e patinato del cinema di quegli anni, ma soprattutto incantato dalla bellezza di Vonnie, giovane e dinamica segretaria dello zio (nonché sua amante).
È amore a prima vista, ma solo per lui, perché lei lo nota a malapena, impegnata com’è in altre faccende.
Con simpatia e costanza il giovane factotum non smette però di corteggiarla e col tempo anche Vonnie inizia a ricambiare lo stesso sentimento, al punto che Bobby le propone il matrimonio, chiedendole di trasferirsi con lui a New York.
Ma qui c’è un netto scarto nel percorso della love story, perché la bella segretaria, adducendo motivi contingenti, rifiuta la proposta. Per Bobby è una vera doccia fredda, di quelle che impongono di sparire.
Smessi i panni del galoppino d’agenzia del burbero zio, Bobby se ne torna quindi sconsolato nel suo Bronx, in realtà l’unico luogo dove si sente a suo agio.
L’esperienza a Los Angeles gli ha comunque fornito nuove visioni professionali ed è su tale impulso che decide di aprire il Cafè Society del titolo, che poi dirige con crescente successo, tanto che il film lo inquadra dopo un’ellissi temporale come brillante titolare del sofisticato locale, divenuto negli anni il ritrovo più charmant dell’upper class newyorkese.
E proprio qui, già sposato e padre, riceve un giorno a sorpresa la visita di Vonnie.
I fili del destino s’intrecciano di nuovo fra sguardi al passato e bollicine di champagne, mentre i loro cuori si riaccendono incontrollati alla fiamma di un amore mai scordato.
In questa chiave intermittente si snoda la trama di una commedia nostalgica su una passione mancata, che vorrebbe riprendere vita quando risulta ormai impossibile.
Allen pare raccontarci l’infinita epopea delle occasioni perdute (stavolta con la sua voce fuori campo) affidando a un doppio di sé stesso (con il physique du rôle) il compito di viverle sul set nell’antologia cinefila delle sue rêveries; ad ogni film una pagina d’epoca, un nuovo spunto per affreschi storici e sociali curati nei dettagli e magistralmente fotografati da Vittorio Storaro.
Qui è l’America alla vigilia della seconda guerra mondiale, isolata nei suoi miti di celluloide, solare negli esterni californiani dove si esalta il trasporto d’amore e il dialogo sentimentale della coppia, ma anche cinica e disillusa nei salotti della capitale finanziaria, dove il bel mondo va a braccetto con gli affari loschi dei gangsters (lo stesso Ben, fratello di Bobby, è entrato da tempo nel giro del crimine).
Però non c’è profusione della tagliente ironia di Billy Wilder che aveva ispirato Irrational Man, in Café Society trova spazio piuttosto la sapiente citazione del tocco leggero di Ernst Lubitsch, a cui il regista pare rivolgersi per descrivere la spezzata vicenda amorosa di due personaggi inquieti, che lasciano emergere le emozioni soprattutto nei ricordi.
Gli (ex)innamorati – come la coppia di Io e Annie – ci fanno immedesimare nei loro sentimenti, ma al contempo ci congelano le lacrime in una struggente rinuncia dettata dalle circostanze di esistenze ormai divise.
Eppure, quasi per paradosso, in un film sull’amore che poteva essere e non è stato, proprio questa dimensione irrisolta disegna sul volto di Vonnie (la splendida e brava Kristen Stewart) il senso di un rimpianto che cerca di riscattarsi ripartendo dall’attimo che aveva anticipato il primo bacio, come se quel loro amore potesse rivivere in ogni istante, con un luccichìo di pupille che si fa beffe del tempo…
Solo l’ottantenne adolescente Allen poteva regalarci una pellicola così toccante, delicata e intelligente!
Naturalmente vi invito a vederla (se non l’avete già fatto) nonché a postare i vostri liberi commenti nello spazio abituale di questo nostro “cineforum Touché”!
À la prochaine mes Amis!